La zia Julia e lo scribacchino, di Mario Vargas Llosa
Commenti e riflessioni6 marzo 2013
Mario Vargas Llosa, La zia Julia e lo scribacchino, Einaudi, 1994
di Amalia Mancini
Il libro fu pubblicato in Italia nel 1977 da Vargas Llosa allora ancora sconosciuto. Si portava dietro quell’odore di Sudamerica che sarà per lungo tempo caro a un certo pubblico italiano. Pur essendo uno dei suoi primi romanzi mostra già in pieno la ricchezza e l’intensità di scrittura che lo renderanno famoso in tutto il mondo fino a fargli vincere, non a caso, il Nobel. Vargas Llosa mette in moto una macchina dell’immaginario che si rivela di indomabile vitalità.
La vicenda si sviluppa su due piani: da una parte la storia del giovane scribacchino con tante ambizioni e due grandi passioni una per la zia Julia e un’altra per la scrittura. Sull’altro piano si snodano le storie melodrammatiche e truculente, che tanto appassionano gli abitanti di Lima, ideate da Pedro Camacho, il “Balzac creolo”. Questi, lavoratore indefesso, uomo di fantasia fervida e irrefrenabile destinata a sfociare nella follia, affascina il giovane giornalista, Mario, protagonista della storia, diventando per lui un modello a cui ispirarsi, da seguire. Il romanzo quindi da un lato segue un modello realistico-autobiografico, la storia di Mario e del suo amore impossibile per la zia, dall’altro fantastico surreale. La storia d’amore alimenta anche la formazione e la crescita di Mario che passa dall’adolescenza alla maturità. E’ tutto immerso nel paesaggio peruviano, cangiante e da scoprire per noi europei. Gli abitanti di Lima sono incantati dalle favole di Camacho calate in mondi impossibili, dove tutto può succedere: possono comparire sopravvissuti di mondi primordiali, oppure un padre crudele può essere massacrato dalla famiglia, oppure si narra la fuga dal convento di una novizia con un musicista per essere poi inghiottiti dal terremoto… Nulla è sconosciuto alla ricca e feconda fantasia di Pedro, come nulla è definitivo. Molti suoi racconti lasciano il finale in sospeso, perché le storie sono sempre aperte a finali variabili (anche Calvino si orienterà in su questo binario in quegli stessi anni).
Apprendiamo i modi di vivere di un mondo lontano, come per esempio appassionava i sudamericani l’ascolto dei radiodrammi, le future telenovele… , le loro passioni e i loro sentimenti, le convenzioni piccolo-borghesi… Pedro, con le sue trame, rappresenta, in qualche modo, la letteratura secondo Llosa. Per il nostro autore, infatti, “scrivere è creare una vita parallela ove rifugiarsi dalle avversità, una difesa contro i fallimenti, le mediocrità quotidiane”. Niente è casuale o involontario. Lo si scopre leggendolo fino in fondo. La scrittura è ricca e avvincente, a volte ironica e funambolica, rivela l’abilità di un indiscutibile maestro. Secondo Llosa “scrivere romanzi è un atto di rivolta contro Dio, contro quell’opera di Dio che è la realtà”.
Vorrei aggiungere che questo genere di rivolte non mi dispiace perché, in fondo, ci aiutano a vivere meglio.
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