11 giugno 2014

Silvia Avallone, Acciaio, Rizzoli, 2010

di Rosalba Tagliente

La lettura e la comprensione di questo libro è stata facilitata dalla conoscenza dei luoghi e degli ambienti di cui si parla, non perché sono di Piombino, ma per similitudine. Conosco la periferia di Taranto “rione Tamburi” a ridosso dell’Ilva che all’inizio si chiamava Italsider, vista crescere sotto gli occhi, anno dopo anno, soppiantando vigneti e uliveti, mentre andavamo in autobus al mare.

Per chi abitava in un paese a 18 km. da Taranto, era consuetudine per fare spese, recarsi nella città nuova, passando obbligatoriamente dalla periferia, per quel rione di case popolari già fatiscenti, adesso color ruggine, immerse nelle nebbie e nei fumi delle ciminiere, senza un albero, con le robe stese attaccate ai muri sulla strada. Se non si annerivano per l’Ilva lo facevano per lo smog. Bambini vocianti per strada, o a giocare sugli stretti marciapiedi a pochi centimetri dalle macchine. Le donne sformate con visi duri, cariche di spesa, le ragazze con sguardi indagatori, attillate, truccate a braccetto per uscire o andare a scuola, vecchie silenziose, intente nei pochi balconi sarcofago, a pulire o prendere aria, giovani sfaccendati, cupi in viso, già affiliati in gruppi, dediti al contrabbando di sigarette, traffici vari. Anche quando vendevano pesce o frutta o meloni freschi all’angolo delle strade, non si comprava da loro.
Allora però l’Italsider, la più grande acciaieria d’Europa, non era percepita nefasta come la Lucchini. La gente lasciava in massa le campagne e guardava quel posto di lavoro come una benedizione per l’avvenire dei figli. Era sporca, faceva caldo, si sudava, ci si spezzava la schiena, ma anche la campagna era dura, impietosa e il raccolto affidato ai capricci delle stagioni, anche lavorare alla giornata non dava speranza. E non si consumava droga per farsi forza.
Allora nessuno si rendeva conto che un mostro si stava espandendo nel ventre della città, nessuno si accorgeva che stava depositando morte nel proprio corpo, nessuno badava che tratti imponenti dell’acquedotto romano si sarebbero corrosi, sbriciolati.
Adesso, se si preferisce, non si attraversano più i “Tamburi, l’area degradata è molto più estesa fino a comprendere tutta Taranto vecchia. Non si capisce come la gente sia sempre là in quei buchi soffocanti, rassegnata, con i morti in famiglia, come se 50 anni non fossero mai passati. Adesso più di allora, sono abbarbicati a quel mostro, se chiude, si muore in massa, davvero.
Ora c’è il ponte” Punta Penna” che passa sulle coltivazioni di cozze e sbuca dall’altra parte della città e si guarda sulla riva del Mar Piccolo il gigante fumoso, immenso, che al tramonto diventa quasi bello……. L’ho fotografato.

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di Elisa Cataldi

L’acciaio è proverbialmente duro, freddo, non si adatta a nulla.
…Come la vita della periferia operaia di Piombino, che vive della Lucchini…e basta!
E’ una storia di degrado: il degrado socio-economico, che determina quello morale.
Casermoni come alveari nei quali migliaia di persone vivono la vita che rimane da vivere fuori dell’acciaieria. Non un cinema, non un posto decente dove ritrovarsi, non un’occasione di crescita. In questo squallore si esaltano le vite disperate di genitori e di figli, come in una gabbia claustrofobica nella quale ogni mancanza diventa intollerabile, ogni delusione si fa rabbia e voglia di fuggire.
Le tematiche sono tante e tutte molto attuali. Il degrado di una periferia industriale,
la violenza sulle donne, l’amore omosessuale, e poi la droga, le morti bianche (da precisare che non tutte le morti bianche avvengono sotto effetto di cocaina!!!!) e tanto tanto altro, forse troppo.
Ci sono i colpi di scena e tutto, proprio tutto quanto è capace di attrarre il lettore.
In modo forse un po’… ”ruffiano”.
E’ come se l’autrice ostentasse una sicurezza nell’eloquio, una spregiudicatezza nelle tematiche, che forse non si può permettere! (come la disinvoltura dell’insicuro).
Anche se le mie preferite rimangono le storie con una ben più profonda analisi psicologica dei personaggi, si tratta comunque di un romanzo importante, che mi ha dato molto e che son felice di aver letto.

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di Amalia Mancini

La storia si svolge a Piombino, all’ombra dell’acciaieria Lucchini, nei caseggiati formicaio di via Stalingrado. La vicenda evoca la struttura di un romanzo epocale che parte dal vissuto delle due protagoniste, Anna e Francesca, giovani e acerbe adolescenti, e si allarga agli avvenimenti di un mondo, di una classe sociale, del suo malessere, delle sue contraddizioni. Questo brulichio di fatti e personaggi sono indispensabili a farci penetrare nel racconto di queste vite che si intrecciano e si fondono, mostrandoci il degrado di una certa periferia, di una classe operaia che sicuramente non andrà in paradiso, ma, inseguendo i falsi modelli della cultura piccolo borghese, sarà condannata all’inferno dell’acciaio in fusione.
Questo libro rappresenta l’inquietudine di una generazione che ha perso le speranze troppo presto, più portata alla rassegnazione che alla lotta. La fabbrica sembra che sovrasti le vite dei singoli, quasi inghiottendole e dissolvendole nell’acciaio stesso che produce. L’adolescenza è dura, come l’acciaio, lascerà segni indelebili. I modelli educativi risultano deboli, a volte inesistenti, mediati dalla cultura flebile e posticcia dei mass media imperanti. Si seguono schemi falsi, evanescenti. Il dolore è profondo, il disagio del crescere fortissimo, le scelte spesso sbagliate.
Di fronte al degrado di via Stalingrado si staglia potente, bellissima, inaccessibile, inavvicinabile, l’isola d’Elba, simbolo di un altro mondo, lontano, inabbordabile.
La denuncia della Avallone fotografa senza omissioni una nazione che ha perduto la speranza nelle sue battaglie con l’acciaio, che inquina e uccide. La sua parola è vigorosa, tagliente come acciaio.
Il malessere delle due adolescenti crescerà nel romanzo producendo sofferenza, dolore, ma anche consapevolezza che quello che conta sono gli affetti, i legami forti che risultano inossidabili al tempo e alle afflizioni, alle dure prove a cui la vita le sottoporrà. E allora anche l’impossibile diventerà possibile, le distanze si sbricioleranno e potranno accedere al loro piccolo paradiso.