“Il gelso di Gerusalemme”, di Paola Caridi.
Attività 2024 - 2025, Commenti e riflessioni, notizie18 marzo 2025
Paola Caridi, “Il gelso di Gerusalemme. L’altra storia raccontata dagli alberi”, Ed. Feltrinelli, 2024
proposto da Luciana Cusmano
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Breve nota a cura di Rosa Giusti, dopo l’incontro del gruppo di lettura.
Unanime il giudizio positivo sul testo: interessante, originale nel contenuto e nella forma, ricco di spunti di riflessione. Tutte abbiamo accolto con favore questa voce “altra” che delinea un modo nuovo di scrivere la storia, spostando la prospettiva dall’Umano al Nonumano, dagli uomini agli alberi, assegnando a questi ultimi il ruolo importante di protagonisti-testimoni che sentono come gli umani li aiutano a capire.
Parola ricorrente nel gruppo, la colonizzazione, di cui sono state e sono tuttora vittime gli alberi, in tante parti del mondo e in tanti periodi storici. La loro voce, è stato riportato, si può paragonare a un coro di tragedia greca, che urla contro il genere umano sopraffattore. L’Autrice si sofferma per lo più sui luoghi di Palestina, Israele e Libano dove insieme con i cambiamenti storici si verificano vistosi cambiamenti paesaggistici e naturalistici che incidono profondamente nella vita delle persone. I Palestinesi, visceralmente legati alla loro terra e rispettosi nei suoi confronti, si sentono violati nella loro stessa identità. Gli aranci, i gelsi, le vigne vengono strumentalizzati a fini economici o in nome di una presunta sicurezza dei luoghi o per contrastare il crescente aumento demografico. I sicomori, i fascinosi alberi nominati persino nelle sacre scritture e da sempre emblema della condivisione tra la gente (i loro fichi tutti possono coglierli e mangiarli sul posto) sono quasi scomparsi. I pini hanno preso il posto di zone pietrose e desertiche, coprendo ciò che da parte israeliana non si voleva fosse visibile. Ai Palestinesi non rimane che fare piccoli sacchi di terra, raccogliendola dai giardini che una volta gli appartenevano. Li conservano amorevolmente per adoperarli nel momento della tumulazione. Gli Ebrei, si è detto, (erranti per definizione, loro malgrado) non sentono un uguale attaccamento alla terra e la usano nel modo più economicamente vantaggioso, badando al mero profitto e puntando al progresso.
Un altro strumentale modo di relazionarsi alle varie specie botaniche del mondo è stato incarcerarle nella classificazione esclusivamente occidentale di Linneo e perciò stesso rinominarle, come se chi, “indigeno che condivideva lo spazio e il tempo con gli alberi, non avesse già usato la lingua per definirli, nominarli, conoscerli… Perché nominare vuol dire controllare, governare i processi”.
A volte però sono le piante a colonizzare i colonizzatori che le portano nei loro paesi. Accade così che gli Orti Botanici che dovrebbero contenere “le piante degli altri “non riescano a ingabbiarle come in uno zoo. Esse tracimano e modificano il paesaggio. E allora? Forse, come pensa Banu Subramaniam, Autore citato nella bibliografia della Caridi, “dovremmo mettere da parte la ricerca della purezza per abbracciare l’effervescenza dell’adattabilità delle piante, la diversità di morfologie meravigliose e il caos della vita sulla Terra. Dovremmo abbracciare l’imperativo categorico! “. E del resto, si è osservato, non accade così anche per le diverse etnie umane che trasmigrano da sempre?
Lo sdegno fa da sottofondo alla crudele sottomissione subita dalla natura ad opera degli umani, ma qualcuna di noi, pur condividendo il pensiero dell’Autrice, ha rilevato che non tutte le popolazioni della terra sono così predatorie nei confronti della natura (vedi gli abitanti dell’Amazzonia). Abbiamo comunque pensato che il prevalente atteggiamento dominante degli Umani verso i Nonumani, mantenuto e sostenuto fortemente da chi nega che ci sia attualmente un problema climatico ed ambientale, potrebbe portare addirittura all’estinzione del nostro pianeta, mentre dovrebbe essere ricercata l’integrazione con la Natura di cui gli Umani sono solo una piccola parte.
Ad addolcire il quadro allarmante, scaturito sia dalla lettura del testo sia dalle nostre conseguenti riflessioni, supplisce l’accattivante tono dolente e poetico della narrazione della Caridi, la sua nostalgia per un passato felice, radicato alle piante della sua infanzia italiana, al campetto che sua madre coltivava con dedizione. Apprezziamo anche le piccole storie di persone incantevoli, legate agli alberi e al mondo vegetale tutto, conosciute dalla Caridi nei molti anni vissuti a Gerusalemme (dove è stata giornalista). Aggiungiamoci le poesie di vari Autori, delicate e umanissime, disseminate qua e là nel testo, come anche le scolorite vecchie foto di tempi andati.
Ci siamo chieste se questo libro si debba definire un saggio – per l’accuratezza scientifica degli argomenti e per la ricca bibliografia riportata- o un romanzo -per i tanti riferimenti autobiografici e per il coinvolgimento emotivo lasciato trasparire senza infingimenti dalla scrittrice. Abbiamo concluso che Il gelso di Gerusalemme si inscrive modernamente nell’ambito di una letteratura che sempre più spesso usa mescolare i generi tradizionali con effetti piacevoli per il lettore. Nessuna pecca dunque in questo libro? Qualche salto di troppo e a volte disorientante tra gli argomenti, i momenti storici e le aree geografiche, qualche ridondanza e ripetizione, non sono apparsi a noi tutte, gravemente nocivi al valore complessivo del libro.
Testi citati
- – “La maledizione della noce moscata” di Amitav Ghosh. – “Ci dovevamo fermare” di Mariangela Gualtieri.
- – “La vita delle piante- Metafisica della mescolanza” di Emanuele Coccia.
- – “Botany of Empire” di Batu Subramaniam
- – “La foglia di fico” di Antonio Pascale
- – “Gerusalemme senza Dio- Ritratto di una città crudele” di Paola Caridi
- – “Un giorno nella vita di Abed Salama” di Nathan Thrall
- – “Mitologia degli alberi” di Jacques Brosse.
- – “Un giorno nella vita” di Abed Salame: Anatomia di una tragedia a Gerusalemme di Nathan Thrall.
- – “Amazzonia – Una vita nel cuore della foresta“, di Emanuela Evangelista
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