03 novembre 2013

Arthur Schnitzler, La signorina Else, in Opere, Mondadori, 2001

di Elisa Cataldi

Un’opera molto breve ma estremamente coinvolgente, che si legge “tutta d’un fiato”. Si tratta del racconto di quello che una circostanza estremamente traumatica, provoca nella mente di una ragazzina poco più che adolescente: dover scegliere fra l’amore per il padre e l’amore per se stessa.
In seguito ad una truffa messa in atto dal padre, i genitori le suggeriscono di chiedere il denaro necessario ad evitargli la prigione e forse il suicidio, ad un “rivoltante” mercante d’arte, che sanno bene essere invaghito di lei. Ed infatti, puntuale arriva il ricatto: per ottenere quel denaro lei deve mostrarsi nuda agli occhi corrotti di lui.
Lo stile, molto particolare, è parte integrante dei contenuti, li supporta e li rafforza.
I pensieri di Else sono riportati in frasi brevissime, che si succedono in modo concitato, spesso incoerente, in un ritmo allucinato, incalzante, febbrile.
E’ l’affollamento dei pensieri di una persona angosciata, in difficoltà. Patetica, martellante, ossessiva la ripetizione…”indirizzo rimane Fiala”: che strano nome (premonitore?) per il destinatario del denaro!
E’ il racconto di un delirio. Il lettore entra nel mondo interiore di questa ragazza, partecipando al suo dolore per il tradimento da parte dei genitori, al suo dispetto per il dover accondiscendere alle voglie di un vecchio spregevole, alla sua sensazione di … quasi meritarselo, perché tutto ciò la fa sentire una sgualdrina, ai suoi timidi inconsistenti tentativi di ribellione, ai suoi progetti di fuga o… di morte…
Il primo (ed anche ultimo) incontro di una giovinezza col mondo ipocrita e corrotto degli adulti. Molto, molto intenso. Bello.

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di Antonella De Maio

“Nei singoli uomini non si è verificata la benché minima trasformazione, non è accaduto altro se non che diverse inibizioni sono state spazzate via e ogni specie di mascalzonate e furfanterie possono essere commesse oggi con un rischio relativamente minore, in ogni senso sia morale che materiale, di quanto non accadeva in passato. Inoltre si parla un po’ più di cibo e di denaro.” Queste parole, incredibilmente attuali, sono state pronunciate dallo stesso Schnitzler all’indomani della pubblicazione della Signorina Else (1924) e delle critiche che ne sono seguite.
Infatti è proprio la mancanza di etica genitoriale quello che colpisce di questo racconto dell’autore viennese. Un padre scellerato che dilapida del denaro che non gli appartiene e una madre insensibile che chiede alla figlia diciannovenne, Else appunto, di far leva sulla debolezza di “un vecchio porco”, per ricevere una somma utile a salvare la famiglia dal disonore. Il racconto si snoda nella mente della ragazza e arriva direttamente al lettore attraverso il monologo interiore, quello stream of consciousness lanciato da Joyce nel 1922 con Ulysses.
Else sente su di sé il peso della responsabilità di quanto le viene chiesto e ne rimane schiacciata, fino al punto di avvelenarsi dopo essersi denudata in pubblico. La ragazza prova un senso di disperata solitudine nel confrontarsi con un mondo di adulti assolutamente inadeguato a fornire dei punti di riferimento etico: il padre irresponsabile; la madre cinica; il mercante d’arte libidinoso; la signora Cissy adultera; Paul indifferente e, su tutti, il signor Fiala che attende implacabile il denaro necessario a risanare il dissesto paterno. Else sembra disseminare i suoi pensieri di una serie di indizi che fanno già intuire l’epilogo del suo racconto: l’abito nero che indossa prima e il mantello nero sul corpo nudo poi; il Carnevale di Schumann, di cui fornisce anche in stampa lo spartito, suonato nella stanza dove poi si denuderà prima di svenire e poi di avvelenarsi (il Carnevale precede la Quaresima, cioè il periodo di lutto religioso); la scelta del nome Fiala allusivo del recipiente che in genere contiene il veleno e con il quale la protagonista troverà la morte.