Diario di viaggio. Capodanno nelle Marche “insieme”. 2019-2020
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CAPODANNO NELLE MARCHE: “Insieme”
30 dicembre 2019 – 3 gennaio 2020
A cura di Angela Mengano
Lunedi 30 dicembre 2019
Imbottita di pasticche per difendermi da un solenne raffreddore, non sento la sveglia e dopo un attimo di panico mi butto giù dal letto implorando per telefono che passino a prendermi da casa. Siamo 36 con Nicola il nostro affezionato autista. Raggiungiamo nel primo pomeriggio Frontone nelle Marche, al confine con l’Umbria, e qui incontriamo Roberto Forcoletti, che si dice pronto ad entrare per noi nel ruolo di Virgilio per i primi tre giorni della nostra permanenza nelle Marche; a Urbino e Fano, infatti, avremo due nuove guide.
A sole ormai calato, ci affrettiamo a salire al Castello prima che faccia buio. Dall’alto della rocca, esempio di architettura militare commesso da Federigo di Montefeltro a Francesco di Giorgio Martini – lo stesso architetto che progettò il castello di Carovigno in Puglia – si gode a perdita d’occhio il dolce paesaggio marchigiano, mentre la luce del tramonto accentua i toni morbidamente rosati della arabeggiante torre civica.
Frontone: il Castello
Intorno alla rocca il piccolo affascinante borgo di rara compattezza architettonica sembra deserto e come fuori dal mondo. Mi colpisce però l’assenza di degrado. Scendiamo in paese, dove alloggeremo all’albergo Il Daino. La cena stasera é proprio buona: l’impressione iniziale ci verrà abbondantemente confermata nei giorni seguenti.
Martedi 31 dicembre 2019
Stamattina splende il sole sul Monastero di Fonte Avellana, importante centro camaldolese ai piedi del monte Catria, immortalato da Dante nel canto XXI del Paradiso. La temperatura è rigida. Lungo il percorso Roberto ci introduce alla storia del complesso monastico, legato alla memoria di san Romualdo e di san Pier Damiani; alla storia di questa terra di cultura umbro-marchigiana, terra di cacciagione, di funghi, di tartufi (bianco in inverno, nero in estate); terra del silenzio. Per strada ci ha accompagnato il racconto di Paolo Rumiz sulla dorsale appenninica, La leggenda dei monti naviganti. La visita al monastero è arricchita dalla presenza di due guide: Andrea per la parte naturalistica, Graziano, per gli interni. Andrea con la sua travolgente passione per le piante ci porta ad esplorare la ricca vegetazione che circonda il monastero, dando risposta a ogni minima nostra curiosità e indicandoci le varie specie di alberi e cespugli, tra viburni, frassini, allori e ciliegi, pyracantha e ornielli, fino al maestoso tasso ultracentenario che si presta volentieri al nostro abbraccio collettivo.
Fonte Avellana: all’ombra del tasso centenario
Con Graziano entriamo nel monastero. Nella chiesa, dove siedono in meditabondo raccoglimento alcuni monaci, ci sentiamo a disagio, massa che irrompe a turbare il momento di preghiera. Poi il chiostro, con gli archi ogivali tipici della tradizione orientale che forse i monaci hanno riportato dai pellegrinaggi in Terra Santa; lo Scriptorium (oggi la maggior parte dei manoscritti si trova nella Biblioteca Vaticana e nel Collegium Germanicum); c’è però anche una biblioteca moderna; e infine la farmacia per gli acquisti dei prodotti dei camaldolesi. Dopo la pausa ristoro nella foresteria con panini buonissimi, ripartiamo per Pergola nell’alta vallata del Cesano, dove ci attende Eleonora, che ci accompagna nel centro storico. Qui, naturalmente, non può mancare un teatro, comune denominatore della regione; qui fioriscono festival di arte, cinema e teatro. In estate non è raro incontrare personaggi come Wim Wenders o Jim Jarmusch; e sembra che un buon numero di olandesi si sia innamorato del posto scegliendo di venirci a vivere stabilmente. Pergola può vantare un tal numero di chiese da essersi guadagnato il nomignolo di Pergoletta Santa. E fu la prima cittadina delle Marche a insorgere contro lo stato Pontificio in epoca risorgimentale.
Ma la prima ragione per cui siamo qui é nel ricchissimo museo dove sono ritornati dopo lunga contesa con il museo di Ancona gli stupendi bronzi dorati scoperti in frammenti, ricomposti dopo lunghi e accurati restauri, nella frazione di Cartoceto.
Pergola: bronzi dorati
Non solo i bronzi dorati troviamo in questo bel museo; c’è pure una ricca collezione di dipinti, sculture e arredi tra XIV e XVIII secolo, oltre a notevoli mosaici di età romana.
Torniamo in albergo e prima di cena ci riuniamo nella reception per la lettura, proposta da Isa, di pagine tratte da una pubblicazione di Franco Maria Ricci e dedicate a Federico da Montefeltro, vero genius loci del territorio.
Avevamo scelto un paese delle Marche un po’ appartato, pensando così di sfuggire al chiasso del cenone di San Silvestro. Saremo accontentati, ma solo in parte: la cena, peraltro squisita, si protrae a lungo, come è tradizione, dalle 20 alle 23 e oltre, ma i commensali nella sala ristorante del nostro quieto albergo sono tanti, garruli e festosi. Sarà che il locale gode nel circondario di meritata fama…Ma il silenzio tanto agognato è una pia illusione, l’atmosfera si elettrizza sempre più…solo stelle filanti e niente botti e petardi, mentre il proprietario dell’ albergo simpaticamente, simula fischi, botti e scoppi usando semplicemente il pugno battuto sul tavolo.
Al brindisi della mezzanotte intoniamo in coro il nostro benvenuto al 2020
Mercoledi 1° gennaio 2020
Roberto ci racconta il cenone di ieri sera alla tavola dei frati di Fonte Avellana, a quanto pare aperti al mondo esterno più di quanto immaginassimo. Sembra che l’atmosfera della serata non sia stata meno scoppiettante e rumorosa della nostra, insomma tutt’altro che silenziosa. Assaporiamo l’aria frizzante del primo mattino dell’anno nuovo in una lunga passeggiata lungo la gola del Furlo. Siamo sull’antica via Flaminia, nata per congiungere Rimini a Roma. Scorre lungo la strada il Candigliano, affluente del Metauro, ed è inevitabile evocare l’epica battaglia che nel 207 a.C. vide l’esercito romano vittorioso rovesciare le sorti del conflitto tra Roma e Cartagine. Anche oggi ci raggiunge Andrea l’etologo; ci parla dell’aquila reale che qui si annidava e pare che ancora ne resti una coppia; ma per vederla dovremmo fare un’arrampicata sulle rocce impervie, cosa non certo alla nostra portata. Pausa ristoro presso un albergo ristorante, l’Antico Furlo, ex-stazione di posta di fine 800 che conserva cimeli di Mussolini, assiduo frequentatore del posto, il cui profilo scolpito nella montagna appare ormai appena riconoscibile: la dinamite dei partigiani riuscì a cancellarla solo in parte. Sul finire della mattinata sostiamo nell’Abbazia benedettina di San Vincenzo al Furlo, semplice ed essenziale, con facciata a capanna e nell’interno affreschi di scuola marchigiana dei secoli XV e XVI. Vale la pena ricordare che prosperò grazie alle offerte dei viandanti che dovevano attraversare il Furlo; e che venne poi san Romualdo a rimettere in riga i monaci “gaudenti” con il confino dei più riottosi a vita eremitica, in cella, a pane acqua ed erbe.
Vincenzo al Furlo: Abbazia benedettina
Passo del Furlo
Poco distante é Cagli, città dal glorioso passato. Dopo la sosta per un panino in un accogliente bar, situato proprio di fronte al Torrione,
Cagli: il Torrione F. di Giorgio Martini
la simpatica e vivace Metella, guida locale, ci fa visitare il bastione, unico rimasto in piedi della rocca difensiva progettata da Francesco di Giorgio Martini, architettura severa che dal 1997 ospita al suo interno mostre di scultura contemporanea; era nativo di Cagli, Eliseo Mattiacci, artista importante per l’arte contemporanea della seconda metà del Novecento. Visitiamo poi il teatro comunale che per la sua inaugurazione presentò un’opera appositamente scritta per l’occasione da Agostino Mercuri, con scene di Girolamo Magnani, lo scenografo preferito di Giuseppe Verdi.
Cagli: teatro comunale
Socie e Soci… a teatro
In questo teatro ha debuttato nel 1939 Mario Del Monaco in Cavalleria rusticana. Nella sala grande degli spettacoli corrono lungo le pareti medaglioni con l’effigie di chi ha dato lustro alla città. Ai lati della scena le statue della Commedia – correttore dei costumi – e della Tragedia – terrore dei tiranni – con i busti del Goldoni e dell’Alfieri. Lucia sale sul palcoscenico e dimostra declamando l’acustica perfetta della sala. Ci spostiamo in piazza Matteotti; tralasciamo per mancanza di tempo la cattedrale, in posizione defilata ad un angolo della piazza, e andiamo al Museo Archeologico, collocato al piano terra del palazzo comunale. Ultima tappa è la bella chiesa di San Francesco, la chiesa francescana più antica delle Marche, esempio emblematico del gotico medio-appenninico. Poi il rientro in albergo. Cena squisita con crescia e tagliatelle ai porcini, e a sorpresa la torta di compleanno per Franca.
Giovedi 2 gennaio
Siamo alle ultime battute del nostro viaggio; oggi dedicheremo la giornata a Urbino. Domani, dopo la sosta a Fano, lasceremo le Marche. Carla De Angelis ci accompagna alla bella Mostra “Raffaello e gli amici di Urbino”, che indaga sui rapporti tra il pittore da un lato e Timoteo Viti e Girolamo Genga artisti locali a lui contemporanei dall’altro, allestita nel Palazzo Ducale in occasione dei 500 anni dalla sua morte. L’occasione è preziosa per riflettere sulla grandezza di Raffaello. “Un dio mortale”, così lo aveva definito il Vasari trent’anni dopo la sua morte. Non é mai stato in cima alla scala dei miei innamoramenti artistici, l’avevo sempre giudicato, mi sia concesso, troppo perfetto! Ma oggi resto sbalordita e conquistata da tanta bellezza.
C’é ancora il tempo, prima di disperderci per la pausa-pranzo libero, per dare un’occhiata alla mostra che in contemporanea si tiene al secondo piano del Palazzo Ducale, Raphael Ware, I colori del Rinascimento, con splendide maioliche provenienti da una ricchissima collezione privata. E non solo: della collezione permanente del palazzo non posso fare a meno di ricordare la Donazione Volponi, opere seicentesche, che le eredi dello scrittore vollero offrire alla Galleria nazionale delle Marche; la stupenda Flagellazione di Piero della Francesca; la mitica “Città ideale”, di attribuzione incerta ma tanto presente nel nostro immaginario; le opere di Giovanni Santi padre di Raffaello e pittore più che apprezzabile; la tavola con il Miracolo dell’ostia profanata di Paolo Uccello.
E mentre il gruppo si raduna in massa nel caffè Basili in piazza della Repubblica, Ester, a cui mi unisco insieme ad altre amiche, ci porta alla ricerca di un ristorante “gourmet”, che non riusciremo a trovare, ripiegando su un piccolo caffè della piazza, dove a malapena troviamo dei panini, ma anche la “focaccia Rossini”, curiosamente sormontata da uovo e maionese, a detta di un avventore presente molto apprezzata dal musicista pesarese. Per poi riunirci al gruppo nel caffè Basili.
Riprendiamo il pellegrinaggio raffaellesco. Casa Raffaello è l’abitazione della famiglia Santi, dove il giovane Raffaello “ha imparato la divina proporzione degli ingegni, soprattutto ha imparato il valore della filosofia, della dignità da dare al suo lavoro di pittore” (Carlo Bo, 1984). Il padre era pittore, il nonno aveva un negozio di colori e pennelli nei pressi della piazza centrale. Tra le “chicche” che qui incontriamo, nella stanza natale del pittore, l’affresco della “Madonna col Bambino” attribuito a Raffaello, il quale ritraeva volentieri immagini di Madonna, in cui si ritiene vedesse la propria madre, morta quando lui aveva solo otto anni.
E infine una veloce visita all’Oratorio di san Giovanni dove possiamo ammirare lo straordinario ciclo di affreschi con la Crocifissione e le Storie della vita di san Giovanni Battista dei fratelli Lorenzo e Jacopo Salimbeni da san Severino Marche, in stile gotico fiorito.
Lasciamo la bella Urbino uscendo dalla porta Valbona, fascinosa costruzione seicentesca, e torniamo al nostro Daino. Cena (l’ultima in terra marchigiana) a base di crostini alle olive, lesso di pollo con radicchio e verza, tiramisù.
Venerdì 3 gennaio
La visita di Fano – con Maddalena Paolini nostra guida – ha inizio dalle mura romane (ma la città possedeva una doppia cinta formata dalle mura romane, augustee, e da quelle malatestiane) e dal decumano; l’impianto é infatti a scacchiera, tipico delle colonie romane. Attraversato l’arco di Augusto, porta di accesso principale, lasciamo sulla destra l’edificio rinascimentale sede dell’Università Carlo Bo di Urbino, sezione staccata di Fano, e andiamo a visitare la Cattedrale, romanica, con la facciata abbellita da un bel portale; sulle loggette, in alto a sinistra, una interessante decorazione a piattelletti, dove bacini ceramici moderni coprono vecchie incavature destinate ad ospitare ceramiche variamente colorate; nell’interno a tre navate notevole é la cappella Nolfi, barocca, con opere del Domenichino; il campanile é stato ricostruito dopo i bombardamenti che lo distrussero nell’ultima guerra. Una felice scoperta é poi la MeMo, o mediateca Montanari (inaugurata dieci anni fa) dal nome dell’imprenditore illuminato che – in una parola – lo ha donato alla città. Ospitata in un edificio elementare dismesso e recuperato, consta di spazi gradevoli, ampi e luminosi, aperti a persone di ogni età, con un bar e persino un pianoforte. Qui abbiamo visto giovani e bambini molto a loro agio in quello che è un centro di cultura a tempo pieno, che incoraggia la lettura e offre un ampio ventaglio di proposte dando spazio alla creatività di ognuno.
Fano: MeMo, mediateca Montanari
A questo si aggiunge la sorpresa di scoprire negli ambienti sottostanti alla mediateca una città sotterranea di età romana. Non troveremo a Fano, però, la basilica di Vitruvio, quella che si ritiene l’unica opera progettata dal celebre architetto; a quanto ci viene detto, sembra infatti che la sua dislocazione resti nel mistero. Il nostro giro prosegue in piazza XX Settembre, al cui centro é la fontana con la statua in bronzo della Fortuna, simbolo della città. L’ampio spazio della piazza é dominato dal trecentesco Palazzo del Podestà (con torre civica ricostruita dopo i bombardamenti), sede del Teatro della Fortuna. Attraversando un arco entriamo nel bel cortile del palazzo malatestiano, sede del museo archeologico e della pinacoteca, che purtroppo non visiteremo perchè il tempo vola. L’ultima tappa del nostro giro é il complesso architettonico di san Francesco, da sbirciare attraverso il cancello chiuso: chiesa a cielo aperto, affascinante pur nel suo degrado e afflitta da una storia tormentata che l’ha vista decadere nel tempo per un’infinità di cause, tra terremoti, demolizioni e querelles per il suo recupero. Pur tuttavia è stata importante nella storia della città, e lo testimoniano le tombe di membri della famiglia Malatesta collocate nel portico d’ingresso.
Fano: Chiesa di San Francesco
Il nostro viaggio si chiude in gloria con il pranzo in zona porto, a La Quinta, dove con unanime apprezzamento, in un’atmosfera molto gradevole, mangiamo pesce in un tripudio di primi e secondi. Tutto squisito. Dulcis in fundo, la “moretta” a base di caffè, anice, rhum, brandy, scorzetta di limone.